Lettera aperta alle Istituzioni competenti in materia di Istruzione e al Paese

Come ricercatori e ricercatrici, ma anche come parte della comunità universitaria e del comparto dell’istruzione, riteniamo che ad un sistema a cui viene chiesto un miglioramento continuo delle prestazioni ed un innalzamento degli standard, debba essere conferito un finanziamento congruo e crescente nel tempo, conforme agli obiettivi di crescita che il Paese si propone. Senza risorse il sistema non solo non accelera, ma difficilmente va avanti.

L’Italia spende il 4.1% PIL in istruzione contro una media UE del 4.7%. Dedica lo 0.55% del PIL all’Università contro una media OCSE dello 0.93%.

Non sorprende quindi che l’Italia sia il penultimo paese per percentuale di laureati in Europa. La scarsità del finanziamento ha anche effetti evidenti sul reclutamento. In Italia l’età media dei docenti universitari è 52 anni per gli associati e 58 per gli ordinari, molto maggiore rispetto alla media dei restanti paesi della UE (e.g., per gli associati: 34 anni in Francia, 42 in Germania). Abbiamo inoltre un rapporto docenti/studenti molto più basso (1 docente ogni 20 studenti, quindi molti studenti e pochi docenti) rispetto a paesi come Germania (1/12), Francia (1/16) e Spagna (1/12).

Nell’attuale sistema di finanziamento degli atenei, una serie di spese necessarie, come gli avanzamenti di carriera, gli scatti salariali, l’assunzione dei giovani e le borse per il diritto allo studio degli studenti, sono, all’atto pratico, in competizione per lo stesso insufficiente finanziamento. Questo non è certamente un metodo sano per favorire la crescita del sistema universitario.

Attualmente i ricercatori costituiscono una parte più che mai consistente del corpo docente delle università italiane. La maggior parte di loro è a tempo determinato e fra questi la maggior parte sono RTDa, quindi essenzialmente precari. Molti di questi contratti precari si stanno avviando a scadenza e le prospettive di stabilizzazione sono tutt’altro che rosee. Questo specialmente alla luce di alcuni recenti provvedimenti amministrativi del ministero (e.g., necessità di imputare da subito 0,7 punti organico per l’istituzione di RTT – invece degli attuali 0,5+0,2 al momento del passaggio a PA – equiparando così di fatto il costo di un RTT a quello di un PA; impossibilità di cumulare diverse sorgenti di punti organico) che rendono molto più complicato reperire le risorse necessarie per aprire delle posizioni di tenure track (RTT, ovvero ricercatori universitari sensu legge 29 Giugno 2022).

Nonostante questa situazione non vogliamo chiedere delle risorse semplicemente per la nostra categoria. Non siamo infatti disposti ad immaginare un sistema universitario dove il benessere e le prospettive di carriera di una parte del corpo docente vengono messe in contrasto con quelle di un’altra o con quelle degli studenti.

Chiediamo invece, insieme ai colleghi a tempo indeterminato (molti dei quali hanno attraversato il calvario della precarietà), agli assegnisti di ricerca, ai dottorandi, agli studenti e al personale tecnico amministrativo, un aumento delle risorse dedicate al sistema universitario nazionale.
L’Italia e le sue Università per crescere non hanno bisogno di una riduzione del fondo ordinario, né di riforme che si limitino a variare, o incrementare, le sigle dietro cui tanti giovani spendono gli anni migliori e più produttivi della propria vita lavorativa. La durata del precariato e il conseguente innalzamento dell’età media di ingresso nei ruoli universitari non sono più sostenibili in questa misura. Servono delle risorse per garantire continuità nel reclutamento, dignità alla figura del docente, un’istruzione di qualità ed un diritto allo studio che sia davvero tale.

ARTeD – Associazione dei Ricercatori a Tempo Determinato

Firma anche tu contro il taglio al FFO!

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